Di seguito si presenta un percorso educativo che comprende la visione del film in classe. La lezione racconta la storia di Simcha Holtzberg.
La storia dietro il film
La storia dietro il filmSimcha, l’ultimo figlio di Shmuel e Tzippora Holtzberg, nacque a Varsavia nel 1924. Nonostante versassero in cattive condizioni economiche, gli Holtzberg solevano invitare gente a casa e condividere il poco cibo che avevano con chi era più povero di loro. Nel ghetto di Varsavia, Simcha fece diversi lavori arrivando anche a praticare il contrabbando di cibo per aiutare la famiglia. Si conquistò il soprannome di “Chusid” (pio) per i frequenti atti di carità che compì nel ghetto. Simcha partecipò all’insurrezione del ghetto, e dopo la sua liquidazione, fu internato nel campo di Budzyń. Dopo molte traversie, arrivò a Bergen Belsen, dove fu liberato. Nel 1946 Holzberg fondò, insieme ad alcuni compagni, il kibbutz religioso Chefetz Hayim con l’intento di prepararsi così alla salita in Terra d’Israele.
Mentre si trovava ancora in Germania, Holtzberg era solito distribuire pasti a sopravvissuti alla Shoah in stato di indigenza e visitare sopravvissuti ospedalizzati in strutture psichiatriche. Queste furono azioni che continuò a compiere anche dopo la sua immigrazione in Israele.
Holtzberg si sposò e si trasferì in Israele. Ebbe due figli.
Nella seconda metà degli anni cinquanta, Holtzberg incontrò il Rabbino Aryeh Levin, “il padre dei prigionieri”. Influenzato dall’esempio del Rabbino Levin, celebre per aver visitato prigionieri politici ebrei nelle prigioni del Mandato Britannico, Holtzberg iniziò a dedicare gran parte del suo tempo alla cura dei disabili di guerra, delle vedove e degli orfani, offrendo loro supporto sia mentale che economico.
Incoraggiato dall’esempio del Rabbino Aryeh Levin, Simcha Holtzberg si spese molto a favore dei soldati feriti e fu per questo chiamato “il padre dei feriti”. Si prendeva cura di loro, li visitava, infondeva loro coraggio, procurava loro ciò di cui avevano bisogno. Molti riconobbero quanto Simcha aveva contribuito alla loro guarigione e rimasero in contatto con lui per molti anni, invitandolo a celebrare insieme gli eventi gioiosi che sarebbero seguiti.
I valori del dare e del prendersi cura degli altri, ai quali era stato educato nella casa dei suoi genitori, continuarono ad ispirarlo nel corso degli anni. Nel 1976 fu conferito a Simcha Holtzberg il prestigioso Premio Israele.
Il film qui presentato promuove un discorso educativo ed etico, che affronta la Shoah in maniera da proteggere gli studenti più giovani. In Israele il film è indirizzato agli alunni di terza e quarta elementare ma potrebbe essere usato anche nella scuola media.
Una serie di principi pedagogici ispirano alcuni degli aspetti essenziali dell’opera.
• La storia è costruita principalmente utilizzando la tecnica dell’animazione, che consente di introdurre agli studenti concetti chiave nella storia dell'Olocausto, come ad esempio: il ghetto e la sofferenza ad esso associato. Il fatto che si tratti di animazione consente di rappresentare questi concetti in modo non traumatico (e qui il senso dell’affrontare la Shoah in maniera da proteggere gli alunni: l’obiettivo è quello di non traumatizzarli).
- La vicenda centrale del film è accompagnata dalle sequenze di un nonno che racconta a suo nipote la storia di Simcha. Ciò consente, prima di tutto, di introdurre la storia attraverso il racconto di questo personaggio piacevole. Inoltre, si crea una chiara separazione tra la vita di oggi, il quotidiano dello spettatore, collegato nel film alla vicenda del nonno e del nipote, e le sezioni animate, che rievocano il periodo drammatico del ghetto. Le fotografie poste all’inizio e alla fine del film fungono da mediazione tra i due periodi. Questa mediazione è realizzata da una serie di immagini che costruiscono e rafforzano un senso di resilienza attraverso la presentazione di temi come l’amicizia, la generosità e la continuità.
- Il film, in conformità con i principi educativi dello Yad Vashem, presenta la vita del sopravvissuto nella sua interezza: gli anni prima dell’Olocausto sono visualizzati attraverso fotografie che suggeriscono un mondo vivo, ricco e diversificato; la rappresentazione del periodo dell’Olocausto, segnata dalle difficoltà sotto il dominio nazista e il ghetto, è accompagnata dalla presentazione degli elementi che hanno permesso al protagonista di affrontare le difficoltà e le sofferenze: una famiglia solidale, l’intraprendenza e lo spirito d’iniziativa, la generosità. Infine, dopo l’Olocausto, il ritorno alla vita, contrassegnato dagli stessi valori che hanno caratterizzato l’agire del protagonista durante la sua giovinezza e il periodo della guerra.
- Sin dall’inizio del film, i giovani spettatori sono consapevoli del fatto che questa è la storia di un bambino che è sopravvissuto all’Olocausto: questo permette loro di entrare in empatia con lui e la sua vicenda.
Prima della visione
Prima della visionePrecedere la visione del film con una breve introduzione è importante perché consentirà agli alunni di guardarlo sentendosi tranquilli e ad agio. Va fatto loro presente che guarderanno un film su un bambino sopravvissuto all’Olocausto, chiamato Simcha (in italiano: Gioia, Gioioso, Felice). L’insegnante potrebbe chiedere ai ragazzi a cosa associano la parola “Olocausto”. Ciò è particolarmente utile per consentire loro di tirar fuori emozioni e sentimenti associati all’evento, nonché per comprendere lo stato emotivo e il grado di comprensione dell’argomento. In questa fase, non c’è bisogno di fare un discorso dettagliato e approfondito sull’Olocausto né presentare i suoi aspetti più drammatici.
Se l'attività si svolge in una data particolare (un anniversario, una ricorrenza, una celebrazione…), è possibile introdurre il film con una conversazione sullo stato d’animo degli studenti in quel giorno o chiedere loro di condividere una riflessione a proposito di quella data.
La lezione può essere aperta presentando immagini di Simcha da adulto e di bambini nella Varsavia prima della guerra.
Guardare le foto può consentire all’insegnante di enfatizzare il fatto che il film racconta la storia di un sopravvissuto, nonché di presentare la città di Varsavia com’era prima dell’Olocausto. Da un lato, le foto in bianco e nero sottolineano la distanza temporale tra i soggetti ritratti e gli alunni di oggi; dall’altro, trattandosi di foto di bambini sorridenti, si svilupperà un senso di empatia in chi le guarda.
Nota bene: le foto sono anche presenti nel film, quindi c’è il rischio di rovinare la visione del film anticipandone alcuni dei suoi contenuti. Conoscendo gli alunni, l’insegnante potrà decidere se mostrare o no queste immagini prima del film.
Le foto
Le fotoImmagini dal film
Immagini dal filmDopo la visione
Dopo la visioneÈ necessario avere una conversazione con gli studenti dopo il film. Questa conversazione ha diversi obiettivi:
L’elaborazione cognitiva. L’insegnante si assicura che gli alunni abbiano compreso la vicenda raccontata nel cortometraggio. Il film presenta anche una serie di temi e concetti storici che possono essere ulteriormente sviluppati, come, per esempio, la vita ebraica prima della guerra, l’Olocausto, il ghetto, i bambini nella Shoah.
L’elaborazione emotiva. Nella quale si mettono in luce i punti centrali del film per consentire agli studenti di padroneggiare la storia presentata e di sviluppare un senso di resilienza.
Enfasi sui valori educativi. È molto importante che lo studio di un argomento delicato come lo è l’Olocausto sia integrato con la promozione di una vigorosa politica valoriale che aiuti gli studenti a sviluppare un’intelligenza etica. Pertanto, si raccomanda che una parte della discussione che si svolge in classe dopo il film, sia dedicata ai concetti e ai valori, di cui il film si fa portatore, come: la generosità, l’altruismo, la responsabilità, la solidarietà, l’aiutare gli altri, il prendersi cura del prossimo ecc. È da sottolineare che Simcha operò nel ghetto, le cui condizioni spaventose avevano minato il senso di comunità e solidarietà che, in condizioni normali, caratterizzano i rapporti interpersonali.
Ecco alcuni suggerimenti per discussioni e attività che possono aiutare a sviluppare le suddette elaborazioni:
A.
Suggerimento n. 1: l’insegnante seleziona un numero di immagini dalla scheda “Immagini dal film” e intavola una conversazione con gli alunni intorno a quello che hanno capito e provato guardando quella parte del cortometraggio a cui si riferiscono le immagini scelte.
Suggerimento n. 2: lavoro di gruppo: l’alunno sceglie le tre immagini che ritiene siano le più rappresentative del film e spiega ai tuoi compagni (davanti alla classe o nel gruppo) perché le ha scelte.
Suggerimento n. 3: lavoro in singolo: l’alunno scegli tre immagini dal film e scrive un titolo per ognuna. Successivamente, condivide con i suoi compagni i titoli e le ragioni della sua scelta.
B.
Elaborazione per iscritto:
L’insegnante distribuirà delle note sulle quali sono riportate una delle seguenti dichiarazioni:
Ho provato ______
Volevo chiedere, ________
Penso che Simcha ______________
Vorrei dire a Simcha _________
Collegamento alle schede progettate per questa attività
Ogni studente riceverà un numero di note, cercando di completare le frasi. Nella seconda fase gli alunni incolleranno le loro note su un poster creato per l’occasione o sulla lavagna e l’insegnante faciliterà una riflessione di gruppo sulle frasi costruite.
Discussione sui valori educativi
Per consentire agli alunni di definire gli insegnamenti etici che possono essere appresi dalla visione dell’opera, si può chiedere loro di scegliere un nuovo titolo per il film, che evidenzi ciò che hanno imparato da esso. L’insegnante può anche offrire una serie di parole chiave da includere nel titolo, come: il dare, la responsabilità, la continuità, l’aiuto reciproco e amare il prossimo come se stesso e altro ancora.
Il figlio di Simcha, Efraim racconta:
“Che non abbiano fame”
Vorrei raccontarvi di una buona azione (una mitza) che mio padre, Simcha Holtzberg fece e che continua a compiere da cinquant’anni.
Quando ero ragazzo, mio padre Simcha mi mandò a studiare presso l’accademia talmudica (yeshiva) “HaKotel” diretta dal rabbino Neria e situata nelle vicinanze del Muro del Pianto. Papà venne a visitarmi in occasione dello Yom Kippur, durante il quale si digiuna per 24 ore. La stessa sera, d’improvviso, pensò “Cosa succederà? Molti ebrei vengono a pregare al Muro del Pianto e dopo Yom Kippur non avranno da bere e da mangiare. Mio padre che, come sapete, era sopravvissuto alla Shoah non poteva tollerare l’idea che proprio qui, al Muro del Pianto, migliaia di ebrei non avrebbero avuto da mangiare dopo aver digiunato per 24 ore.
“Almeno che non abbiano fame” pensò. E così gli venne in mente un’idea. Chiamò al telefono il titolare della ditta di liquori Tempo, il signor Moshe Bornstein (anche lui un sopravvissuto) e gli disse in Yiddish: “Moshe, invia un camion della Tempo al Muro del Pianto al termine di Yom Kippur”. E così andò. Papà comprò biscotti e merendine che poi distribuì. Era l’anno 1967, l’anno in cui il Muro del Pianto fu liberato. E così continuò a fare ogni anno. E io non ho avuto altra scelta che mantenere viva questa tradizione di famiglia. Oggi celebriamo 50 anni. Ogni anno distribuiamo migliaia di bibite e merendine al cioccolato. E non ci crederete, un miracolo si ripete ogni anno: dopo un’ora, è possibile fare il bedikat hachametz perché delle merendine, non rimane neanche un briciola.
Tre matzot, tre generazioni
Per l’ultimo Seder di Pasqua nel ghetto di Varsavia, mio padre era ancora insieme ai suoi genitori, Shmuel e Tzippora. Molte delle case del ghetto erano già state distrutte. Ma mio nonno, che la sua memoria sia una benedizione, non rinunciò al comandamento di mangiare la matzah (il pane azzimo) durante il Seder. Con le ultime monete che gli restavano andò in una panetteria clandestina dove gli ebrei preparavano di nascosto le matzot, e ne comprò alcune. Mio nonno aveva allora già 70 anni. Andò con una borsa e, all’improvviso, un altro abitante del ghetto, già molto affamato, cercò di rubargli le matzot per mangiarle. Le matzot si sbriciolarono e così il cuore del nonno. Ma riuscì a salvare alcune briciole e a riportarle a casa. Con quelle briciole, la famiglia celebrò il Seder in un bunker del ghetto. Mio padre non dimenticò mai quella sera.
Anni dopo, mio padre, che sopravvisse alla Shoah, si sposò, emigrò in Israele ed ebbe figli. Diventato uomo e sposatomi, andai a vivere nel Quartiere Ebraico della Città Vecchia di Gerusalemme. Qui fui contento di vedere centinaia di migliaia di ebrei che giungevano al Muro del Pianto in occasione della Pasqua ebraica ma mi dispiacque notare che alcuni compravano chametz (prodotti lievitati il cui consumo è vietato durante la settimana della Pasqua ebraica).
Mi consultai con il rabbino Elishiv e lui mi disse: “Distribuisci matzot agli ebrei. Regala loro un pacco di matzot e fallo con il sorriso!”
E così acquistai 300 chili di matzot. Preparai delle belle confezioni con una breve descrizione della Pasqua ebraica, la sua storia e la redenzione a venire. Vidi con soddisfazione che molti apprezzarono il mio gesto e quando mi fu possibile, distribuii anche bevande.
Una volta, di ritorno dal fornaio, dopo aver comprato le matzot, chiesi al mio amico Shimon di distribuirle. Poi sentii il bisogno di baciare la confezione delle matzot che noi chiamiamo il ‘pane della fede’. In seguito pensai, “Efraim, perché proprio tu hai avuto l’onore di distribuire queste matzot?” E la risposta che mi diedi fu la seguente: “Grazie alle tre matzot sbriciolate di mio nonno, ho ricevuto 300 chili di matzot da distribuire”. Sono già 36 anni che compio questa buona azione.